lunedì 20 dicembre 2010

La scuola in Emilia-Romagna e le sue virtù


Giancarlo Cerini


I dati quantitativi

La nostra regione (circa 4 milioni di abitanti) vanta tradizioni culturali, economiche, sociali e politiche che si riflettono anche sulla sua scuola e sull’impegno che le istituzioni locali rivolgono al sistema educativo regionale.
I numeri del sistema scolastico sono imponenti, un abitante su sette è nella condizione di studente.
Al di là della quantità, è importante anche individuare gli indicatori che possono testimoniare la sua qualità, ma anche segnalare le sue criticità. Possiamo già sintetizzare che gli indicatori sui risultati scolastici collocano la scuola emiliano-romagnola al 3°-4° posto del range delle 20 regioni italiane, con un trend superiore alla media nazionale e più vicina ai dati europei e dell’Ocse .
Si tratta di una regione ad alta scolarizzazione. Dai 3 ai 19 anni di età praticamente tutti i cittadini residenti in regione frequentano il sistema scolastico (si tratta di un dato di standard europeo). In alcuni settori, come la scuola dell’infanzia per i bambini dai 3 ai 5 anni, la percentuale è vicina al 99% (e per i bambini da 0 a 3 anni è superiore al 30% di frequenza per i servizi educativi, come l’asilo nido). Il benchmark di ET 2020 (European Training) prevede il raggiungimento del 95% di frequenza per i bambini di 4 anni tra 10 anni (in Emilia-Romagna, l’obiettivo è già stato raggiunto). Anche per gli altri 4 indicatori i dati sono migliori della media nazionale (ad esempio: percentuale di successo scolastico al termine della scuola secondaria: 90% in ET, 82% ER oggi; riduzione criticità competenze lingua madre a 15 anni: 15% in ET, 18% ER oggi).


Tavola Indicatori e benchmarks per il 2010 e per 2020 approvati dal Consiglio dei Ministri dell’Istruzione nel 2003 e nel 2009

Gli Indicatori
Si scrivono qui, prima gli obiettivi 2010, poi gli obiettivi 2020

Abbandono scolastico:
% dei 18-24enni con il diploma
del primo ciclo di secondaria
e non più in formazione
early school leavers)
non oltre il 10% (2010); non oltre il 10% (2020)

Partecipazione degli adulti
alla formazione permanente
(lifelong learning ):
% di 25 - 64enni in formazione
almeno il 12,5% (2010); almeno il 15%(2020)

Innalzamento del livello d’istruzione:
% dei 20-24enni con almeno un diploma
di secondaria superiore (a)
almeno l’85% (2010); (*)(2020)

Laureati nelle discipline scientifiche
aumento almeno del 15% e meno diff. di genere (2010); (*)(2020)

Competenze di base:
% dei 15 enni con risultati
insufficienti nella scala
delle competenze di base
(Indagine PISA )
Non superiore al 17% (2010); meno del 15% (2020)

Diplomati dell'istruzione superiore:
% delle persone tra i 30-34 anni
con diploma d’istruzione superiore
(livelli 5-6 ISCED -Classificazione inter, standard)
almeno il 40% (2010)

Istruzione della prima infanzia:
% dei bambini tra i 4 anni
e l'età dell’istruzione
obbligatoria che partecipa
all'istruzione della prima infanzia.
almeno il 95 % (2010)

(*) Non presente tra gli obiettivi del 2020
(a) La formulazione dell’indicatore sui diplomati di secondaria superiore qui riportata è diversa da quella approvato inizialmente dal Consiglio dei ministri dell’Istruzione nel 2003. La formulazione originaria del benchmark indicava che
l’obiettivo dell’85 % fosse riferito ai soli giovani di 22 anni. La scarsa affidabilità delle stime calcolate in riferimento ad un livello puntuale di età ha indotto a modificare l’indicatore, sostituendolo con quello relativo alla quota dei 20-24 enni con diploma di secondaria superiore.
Fonte: G.De Sanctis, Da Lisbona 2010 a Europa 2020: vecchi ritardi e nuovi benchmark, in Rivista dell’istruzione”, n. 5, settembre-ottobre 2010, Maggioli.


Una scuola inclusiva

L’Emilia-Romagna è una regione che ha costruito nel corso degli anni un atteggiamento positivo nei confronti del valore dell’istruzione e delle strutture educative; ci sono delle virtù civiche che risalgono alla fine dell’800 e che portarono alle prime scuole infantili, alle scuole a tempo pieno, alle prime scuole tecnico-professionali, spesso per impulso degli enti locali.
Ogni giorno 510.000 ragazzi varcano i portoni delle scuole della regione. Ci sono 2.300 edifici scolastici statali, organizzati in 560 unità scolastiche autonome (con distinta personalità giuridica ed un capo di istituto con qualifica di “dirigente scolastico”). Esiste poi un sistema paritario con circa 1000 scuole (in particolare 800 piccole scuole dell’infanzia comunali, private, di enti).
Nella scuola statale operano circa 46.000 docenti. Di questi, quasi 6.000 sono docenti di sostegno, cioè si occupano dell’integrazione scolastica nelle classi comuni di 12.197 allievi disabili e con handicap. L’integrazione scolastica implica anche la presenza di numerose figure di supporto (educatori, assistenti, ecc.) messi a disposizione dagli Enti locali e la collaborazione dei servizi sociali e sanitari (ASL). Comunque l’intervento dello Stato, con i suoi insegnanti di sostegno, è determinante.
Questa scelta, che risale agli anni ’70, segnala il carattere inclusivo della scuola italiana ed emiliano-romagnola in particolare (“La scuola è aperta a tutti” recita l’art. 34 della Costituzione). Ma già affiorano nuovi bisogni educativi speciali, come nel caso dei disturbi di apprendimento o della dislessia, per cui il Parlamento ha recentemente approvato una legge nazionale.
Anche la presenza di bambini stranieri (nati da genitori non italiani) è notevole. Si tratta di circa 65.000 allievi pari al 13 % della popolazione scolastica, la percentuale più alta tra tutte le 20 regioni italiane. Di questi, comunque, oltre un terzo sono nati in Italia ed hanno cominciato a frequentare le nostre scuole, fin dalla scuola dell’infanzia, mentre si riduce la percentuale degli arrivi in corso d’anno di nuovi immigrati. La presenza è ormai storica e si pone il problema del rapporto con gli stranieri di seconda generazione.
Oltre a questi aspetti evidenti, dovremmo però porci il problema di altre forme di disagio che si manifestano in maniera meno visibile, che però si stanno diffondendo, come la scarsa motivazione verso gli studi, l’abbandono scolastico, le ripetenze, le difficoltà relazionali.

Gli esiti degli apprendimenti

Dobbiamo quindi farci una ulteriore domanda: nelle scuole dell’Emilia-Romagna entrano ormai tutti i bambini ed i giovani che abitano qui, ma come ne escono? Cosa avviene a scuola? Quale è il “valore aggiunto” apportato dalla proposta della scuola nella formazione dei ragazzi? Quali sono i reali livelli di competenza? Il nostro paese ha un certo ritardo nell’analisi dei risultati scolastici e solo da pochi anni sono disponibili dati e rilevazioni standardizzate degli apprendimenti fondamentali. In base alla legge 176/2007 sono diventati obbligatori i test di apprendimento per tutti gli allievi di II^ primaria, V^ primaria, I^ secondaria di I grado, III^ secondaria di I grado, II^ secondaria superiore, V^ secondaria superiore (la quarta e sesta rilevazione coincidono con gli esami terminali di scuola media e di scuola superire). Sappiamo anche che non tutto ciò che la scuola “produce” può essere misurato dal testing, che in genere si riferisce solo ad alcune discipline (lingua italiana e matematica, cui si aggiunge scienze in alcune indagini internazionali). Ed anche in questi caso, sono oggetto di verifica solo alcune competenze: ad esempio, in lingua, la comprensione dei testi scritti, le conoscenze grammaticali, ma non le capacità verbali, la produzione scritta, ecc. I risultati dei test vanno dunque assunti con cautela, perché ci sono altri elementi da considerare per valutare il buon funzionamento delle scuole, come i livelli di professionalità dei docenti, le caratteristiche dell’organizzazione, i rapporti con la comunità esterna, l’impegno dei dirigenti, il gradimento dei genitori, ecc. Un sistema di accountability esterna deve essere accompagnato da un processo di rendicontazione sociale .
Se confrontiamo gli esiti più recenti (2010) delle prove INVALSI (Sistema nazionale di valutazione) troveremo sempre un differenziale positivo a favore della regione Emilia-Romagna, nei confronti delle medie nazionali, da 2 a 4 punti (l’andamento positivo riguarda l’area vasta del Nord-Est italiano):

Punteggi medi in italiano
classe 2^ elementare 63,4(Em-Rom); 61,0(ITA)
classe 5^ elementare 68,1(Em-Rom); 66,6(ITA)
classe 1^ media 63,5(Em-Rom); 60,8(ITA)
classe 3^ media 64,3(Em-Rom); 60,4(ITA)

Questi dati trovano conferma anche nelle prove internazionali OCSE. Ad esempio per quanto riguarda le competenze dei quindicenni in lingua italiano abbiamo dati assai positivi, con riferimento ai punteggi medi delle prove PISA 2006 :
ER punti 496, ITA punti 469 , Ocse punti 492.

Anche con riguardo alle criticità (insufficienza delle competenze) i dati sono confortanti:
Alunni in difficoltà in lingua italiana:
ER 18,4%, ITA 26,4%, OCSE 20,1%.

Le differenze nella qualità

Se però scorporiamo i dati, avremo di fronte notevoli differenze nei risultati dei nostri quindicenni, soprattutto in relazione ai tre diversi ordini in cui si articola la scuola secondaria superiore: licei, istituti tecnici, istituti professionali, verso i quali si orientano ragazzi di provenienza sociale differenziata e con attitudini differenziate. I punteggi medi distinti per ordine scolastico rendono evidenti le notevoli differenze:

Licei 559 punti, Tecnici 485 punti, Professionali 410.

Praticamente abbiamo tutto il range OCSE-Pisa lungo la Via Emilia (dal Messico alla Finlandia…)..
Sembra un dato ineluttabile, di fronte al quale è difficile intervenire. Sarà possibile avvicinare questi percorsi? Se non ci sono riusciti i diversi interventi normativi per l’estensione dell’obbligo di istruzione, difficilmente ci riuscirà la recente riforma in fase di avvio nella scuola secondaria di II grado. Si potrà garantire una base di competenze fondamentali a 16 anni, come era nelle intenzioni dell’obbligo di istruzione elevato a 10 anni (da 6 a 16 anni), approvato per legge nel 2006? Il DM 139/2007 richiama la sostanziale equivalenza degli esiti formativi da raggiungere a 16 anni, in relazione alle competenze chiave di cui parlano di documenti della Unione Europea. Al momento la situazione è assai fluida, perché l’obbligo si può realizzare con modalità diversa (nei tre tipi di scuola indicati, nella formazione professionale e in alternanza-scuola lavoro con l’apprendistato).
I risultati scolastici dell’Emilia-Romagna –rilevati attraverso i test- mettono in evidenza forti differenze dovute al sesso (le ragazze ottengono risultati migliori dei maschi), all’origine etnica (gli stranieri ottengono risultati peggiori), nonché al tipo di scuola secondaria superiore prescelta (come abbiamo visto sopra).
Questo fenomeno pone problemi sia al livello di primo ciclo (scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di I grado), per cui andrebbe rafforzato il raccordo anche attraverso la generalizzazione degli istituti comprensivi, sia a livello di secondo ciclo (scuola secondaria di II ciclo), per cui sarebbe opportuno prevedere “campus” scolastici ove intrecciare i diversi tipi di percorso (da quelli brevi professionalizzanti a quelli “lunghi” disinteressati), aggregando attorno a poli culturali – scientifico, linguistico, sociale, artistico, tecnologico, ecc. - una pluralità di scelte. Altrimenti il rischio è quello della “segregazione” sociale degli allievi nei diversi “edifici” scolastici.
Sappiamo che i risultati scolastici dipendono da molti fattori, in sintesi da tre aspetti che variamente interagiscono: la provenienza socio-culturale degli studenti e le loro caratteristiche personali, il territorio in cui risiedono (Nord-Sud…), le caratteristiche della scuola frequentata. E’ evidente il forte peso che hanno le caratteristiche del contesto socio-culturale. In questo l’Emilia-Romagna si trova in una posizione di vantaggio, come è testimoniato dalle ricerche sul “capitale sociale” (capacità di iniziativa, imprenditività, fiducia, legami di comunità, funzionamento delle istituzioni, associazionismo). La regione Emilia-Romagna risulta al primo posti tra le 20 regioni italiane per molte di queste virtù civiche. Questo contesto influisce certamente sulla qualità della scuola, ma un insediamento di una scuola di qualità contribuisce, a sua volta, a qualificare il tessuto sociale del territorio .

Quanto mi costi? Quanto mi rendi?

Se ci poniamo la domanda dei costi di questo sistema educativo “maturo” (ed è una domanda che sempre più ci viene posta, a volte anche strumentalmente) registriamo che il sistema educativo dell’Emilia-Romagna costa meno che altrove, che non spreca risorse. L’indicatore strategico che in Europa ci penalizza (rapporto insegnanti-allievi), qui è più contenuto che altrove, nonostante la ricchezza dei modelli scolastici (il 45% delle classi di scuola elementare sono a tempo pieno). Non va trascurato il fatto che la regione Emilia-Romagna veda la presenza di ben 90 comuni (su un totale di 340) in zone di montagna. Anche il numero medio di alunni per classe è assai rigoroso, comunque sempre superiore a quello che si registra nelle altre regioni.

Alunni per classe
Scuola infanzia 24,2(Em-Ro); 23,0(ITA)
Scuola primaria 19,9(Em-Ro); 18,7(ITA)
Scuola secondaria I gr. 22,0(Em-Ro); 21,0(ITA)
Scuola secondaria II gr. 22,1(Em-Ro); 21,6(ITA)


Pure la consistenza delle unità scolastica è alta, in media 880 allievi per ogni istituzione scolastica autonoma (presidenza) per il primo ciclo.

Questi fattori influiscono sul costo medio per allievo, che in Emilia-Romagna è inferiore al dato nazionale
(5.467,00 € in ITA, 5.220,00 in ER, pari al 96 % del dato nazionale).

A questa base di finanziamenti statali si aggiungono però i costi sostenuti dagli Enti locali che in ER assommano a 1.495 € (mentre in Italia sono pari a 1.183 €) sempre pro-capite.
Se dovesse realizzarsi un sistema di federalismo fiscale, con i flussi di spesa legati non più alla spesa storica che in ER è inferiore, ma ai costi medi, e soprattutto ai costi standard, questo significherebbe ricevere più risorse dal livello nazionale, da affiancare a quelle già elevate di provenienza locale. La cultura regionale appare pronta a sperimentare nuove forme di governance dell’istruzione, a partire dalla condivisione delle risorse finanziarie e dal buon uso che se ne può fare (razionalizzazione della spesa, reinvestimenti in loco, ecc.).
Alcuni risultati positivi sono ben visibili in alcuni settori, come quello dell’edilizia scolastica, che presenta un panorama (sicurezza, manutenzione, pratiche ecologiche) migliore di quello nazionale .

Un bilancio di sintesi

Certamente la scuola dell’Emilia-Romagna è un sistema di forti tradizioni e di persistente qualità:
- un sistema educativo per l’infanzia (0-6 anni), di indiscusso valore;
- un giudizio positivo e un “attaccamento” persistente dell’utenza verso la scuola di base;
- l’integrazione dei sistemi di istruzione e formazione;
- la ricchezza di opportunità culturali e formative del territorio;
- la presenza di una rete di centri locali di supporto alla scuola;
- la propensione all’innovazione didattica;
- la scelta del’inclusione sociale come valore fondativo.

In controluce, non si possono negare alcuni punti di criticità, tra i quali citiamo:

- la persistente stratificazione sociale nei risultati scolastici;
- alcune criticità negli apprendimenti, già al termine della scuola di base;
- una difficoltà supplementare nei confronti dell’utenza straniera;
- la tendenza alla licealizzazione del sistema educativo e nelle scelte dei giovani;
- l’età avanzata del corpo docente e il mancato ricambio generazionale, con l’inserimento delle energie migliori nella scuola;
- la carenza di dirigenti scolastici (mancano 130 dirigenti su 560 istituzioni autonome);
-una certa stanchezza (e disillusione) tra il personale docente, anche se ancora intense sono le iniziative di formazione, ricerca, partecipazione all’innovazione;
-il legame da rafforzare con il mondo del lavoro, la ricerca, la innovazione scientifica e tecnologica.

L’idea della qualità della scuola rimanda all’idea di un ecosistema, dove sono molti i soggetti che possono interagire per il buon funzionamento delle istituzioni educative… il governo centrale, il governo regionale, la rete di comuni e province, le scuole autonome, con i loro dirigenti, insegnanti, personale amministrativo, i genitori e gli studenti, i numerosi soggetti delle comunità. Ognuno dovrà fare la sua parte, come in una orchestra da camera (dove non necessariamente c’è un direttore d’orchestra). Per ottenere la giusta concertazione.

Macropolitiche possono essere smentite dall’inerzia e dalle resistenze del sistema a livello locale.
Micropolitiche locali efficaci possono stimolare macropolitiche pigre o disattente.